Vincenzo Bindi

Biografia di Vincenzo Bindi in “Catalogo dei periodici Abruzzesi posseduti dalla Biblioteca Civica Vincenzo Bindi di Giulianova”

di Aldo Marroni

Con una lettera datata 21 dicembre 1925, il Sindaco di Giulianova Amato Alfonso Migliori, scriveva al Gran’Ufficiale Prof. Vincenzo Bindi (Napoli) quanto segue: «Sono lieto comunicarle che il Consiglio Comunale, in seduta straordinaria del 19 corrente, aderendo alla mia proposta, ha deliberato di intitolare al Nome della S.V. la via cittadina denominata ‘Porta Marina’». Il Consiglio Comunale di Giulianova con deliberazione n. 277 del 19 dicembre 1925 tributava le sue onoranze all’esimio studioso, che in tal modo entrava a far parte ufficialmente di quel novero di illustri giuliesi su cui aveva scritto un breve saggio nel 1876.

Ecco il testo completo della deliberazione:

«Se pubblicamente onorare chi con le proprie opere e con l’ingegno suo vasto ha illustrato il proprio paese, è stato e permane tuttora dovere ed orgoglio di ogni cittadino ben nato, io oggi, nella qualità di primo cittadino di Giulianova lietamente sento in me l’orgogliosa soddisfazione di potere in nome, in nome vostro, in nome di tutti i giuliesi di ogni classe e di ogni credenza, mettere all’ordine del giorno il nome del più illustre, più dotto, più illuminato nostro concittadino: il Chiarissino Prof. Vincenzo Bindi.

Le molte e profonde opere che da tanto ingegno, in una lunga vita di lavoro balzarono insigni per dottrina e per bellezza, sono là a dimostrare perennemente ai cultori di storia e di arte chi è l’uomo da cui Giulianova e l’Abruzzo intero ebbe luce e splendore. Egli è l’uomo la cui fama nel campo delle storie italiane già da tanto varcò i confini della Patria e luminari illustri di altre nazioni stimarono ed onorarono altissimamente. Ma se altro di Lui non si avesse ad enumerare ad imporci il solenne tributo di riconoscimento cui oggi io v’invito, basterebbe l’opera sua vasta sui «Monumenti storici ed artistici degli Abruzzi», opera assolutamente completa, originale, bella e pregevole da lui dopo lunghi studi di documenti inediti, con squisito senso d’arte compilata e splendidamente illustrata. Vincenzo Bindi oltre che chiaro scrittore e sommo cultore d’arte è stato per lunghi decenni stimato ed amato educatore di popolo.

Il suo incarico nella direzione della Scuola Magistrale di Capua e le solenni onoranze ripetutamente, da Autorità e scolaresche a Lui tributate, le onorificenze a Lui conferite in dipendenza della sua opera a pro della scuola, stanno ad indicare ancora una volta l’alto valore del suo cuore italiano e della sua mente geniale.

E tra le tante benemerenze del Grand’Ufficiale Vincenzo Bindi non voglio tralasciare di ricordare l’oper sua fattiva ed alta a pro del nostro Mandamento che dal 1911 ad oggi lo designò suo Rappresentante alla deputazione provinciale.

Vincenzo Bindi nulla mai chiese, mai alcun onore ambi, mai desiderò offizio alcuno, non sollecitò mai alcuna ricompensa che non gli venisse dalla certezza del dovere compiuto; profuse per cinquant’anni tutti i tesori e tutte le fiamme del suo ingegno facendo della istruzione del popolo la religione di sua vita; illustrò Giulianova e la regione tutta d’Abruzzo con i libri di storia e di arte che suscitarono vivissima ammirazione per l’Autore.

Egli vive ora modesto e schivo di ogni onore; insoddisfatto ancor forse della vasta opera da Lui compiuta.

Sia gradito nostro dovere onorare l’altissimo cittadino e tramandare ai lontani nepoti in suo nome illustre.

Propongo che una delle vie della città sia intitolata al nome di Vincenzo Bindi, e precisamente la via denominata «Porta Marina». Il Consiglio all’umanità dei voti, col consenso e con i generali applausi dei numerosi astanti, approva».

Il discorso, sfoltito dalla retorica tipica di un comizio pubblico, delinea la figura di un uomo coerente con le sue convinzioni e di un intellettuale altrettanto rigoroso nelle sue ricerche.

Sfogliando le sue carte, la mole dei manoscritti e della corrispondenza, gli innumerevoli appunti fatti su foglietti d’ogni genere che sarebbero poi serviti alla sua attività di scrittore e insegnante, ci troviamo di fronte ad un uomo che ha saputo sganciarsi da un’ottica strettamente comunale e provinciale, per dedicarsi ad opere che per importanza e mole hanno avuto una risonanza non solo regionale, ma nazionale e perfino internazionale.

Ma alla fama di scrittore ed intellettuale non corrispose una eguale felicità privata.

Vincenzo Bindi era nato a Giulianova il 21 gennaio 1852.

I Bindi provenivano dalla Toscana (un ramo senese ed uno fiorentino, quello principale) ed avevano preso dimora da oltre quattro secoli ad Atri. Intorno a quale anno ed in quali circostanze ciò sia avvenuto lo Scrittore afferma di non poterlo definire a causa delle «peripezie, cui andarono, nelle varie epoche, soggetti l’Archivio Municipale di quella città [Atri, n.d.a.] e l’Archivio della Casa Ducale degli Acquaviva, sia perché il Municipio, nel febbraio 1906, fu assalito da una plebaglia furibonda che incendiò tutti i registri dello stato civile insieme ad altre carte ed importanti documenti».

Le ricerche del Nostro, da cui attingiamo, parlano di una cronaca fiorentina che dà notizia di alcuni Bindi, esiliati da Firenze dopo il 1530, al ritorno dei Medici. L’unico Bindi di cui si ha certezza perché citato dai libri parrocchiali della Cattedrale di Atri è un Rodolfo, ritenuto il capostipite di tutta la famiglia. La ricerca di Vincenzo Bindi arriva fino alle soglie dell’ottocento con Vincenzo figlio di Giuseppe Saverio, che si trasferì a Giulianova e sposò nel 1806 Olimpia De Florentiis di Mosciano che mori a soli 42 anni; in seconde nozze sposò Maria Liberati di Tortoreto. Vincenzo Bindi ebbe dalla moglie Olimpia i seguenti figli: Antonio, Giuseppe, Fioralba, e Enrico nato il 25 maggio 1813. Enrico continuò la sua vita a Giulianova sposando Maria Pirocchi. Dal matrimonio nacquero: Ernesto, morto bambino, Vincenzo, Ernesto, Francesco, Olimpia e Antonio.

Nel 1875 Vincenzo Bindi sposò Rosina Carelli figlia del noto artista napoletano Consalvo ( o Gonzalvo) Carelli, di cui si occupò in qualità di studioso d’arte.

Vincenzo aveva conosciuto Rosina frequentando la casa dei Carelli che, a quel tempo, rappresentava un centro artistico molto importante.

«Verso il 1867, giovanissimo, non avevo ancora 16 anni, io mi trovavo a Napoli studente, e frequentavo la casa del compianto Conte di Castellana, D. Carlo Acquaviva d’Aragona, al quale la mia famiglia in Giulianova era legata da antica e fedele amicizia, fui da lui presentato una sera a Gonsalvo Carelli, illustre artista napoletano [ … ] nella ospitale sua casa alla via Bisignano a Chiaia, allietata dalla grazia e dal sorriso di due belle e giovanissime figliole, si raccoglieva quanto di meglio Napoli offriva»; poi Bindi continua col raccontare degli incontri con Domenico Morelli, Eduardo Dalbono, Giuseppe De Nittis ed altri famosi artisti – recentemente rivalutati – poi raccolti sotto la denominazione di Scuola di Posillipo. Dal matrimonio con Rosina Carelli nacquero tre figli, morti tutti e tre in giovane età. Enrico nato il 3 maggio 1875, pittore – emulo del nonno – e scrittore, insegnante di disegno presso la R.Scuola Tecnica «Salvator Rosa» di Napoli, mori il 13 novembre del 1902, all’età di 27 anni. Ernestino vissuto solo 17 mesi, morto nel 1884. Alberto morto a 19 anni il 9 ottobre 1908. Commenta il Bindi in In memoria: «Con lui [Alberto n.d.a.] dopo oltre quattro secoli, si estingue il ramo primigenio dei Bindi a Giulianova, perché gli altri due fratelli dottor Ernesto sposato alla signora Giuseppina Paccamilli ed Antonio alla signora Ulda Volpe, non hanno avuto figli i figli del defunto avvocato Francesco hanno trasferito a Napoli il loro domicilio».

Vincenzo Bindi, figlio di Enrico, farmacista, compì i primi studi presso la Scuola del Seminario di Atri, ottenendo nel 1869 «l’approvazione con piena lode». Poi, come gran parte degli intellettuali abruzzesi tra i quali i fratelli Spaventa, Croce, Filomusi-Guefi, che godevano di una discreta agiatezza economica, si trasferì nel napoletano per poter compiere gli studi in legge e fare pratica di notariato. Nel 1872 ebbe la licenza liceale nella sede di Napoli, ottenendo ottimi voti in lettere, e già nel gennaio 187 5 faceva pratica di notariato presso lo studio di Gaetano Martinez «essendosi anche laureato». Negli stessi anni il Nostro deve aver frequentato le lezioni di letteratura di Francesco De Sanctis, di estetica di Antonio Tari, storia moderna di Giuseppe De Blasiis. In un documento del 28 giugno 1876 il Tari scrive: «Certifico conoscere e pregiare il giovane Vincenzo Bindi, di Enrico, mio alunno, per bellezza di ingegno, bontà di studi artistico-letterari, ed ottime speranze nell’azione critica, nel quale già esercita le sue forze con lode di conoscitori». Mentre il De Sanctis scrive; «Il libro, L’Arte, del signor Bindi Vincenzo, si legge con piacere per copia di notizie e facilità di dettato». Dal 1876 il Bindi si mette alla ricerca di un posto di insegnante nella scuola, ma solo il 24 maggio 1881 il Ministero della Pubblica Istruzione gli conferirà la “patente definitiva” (leggi: l’incarico) per l’insegnamento delle lettere nelle scuole del Regno. Fino a quella data aveva avuto delle nomine triennali presso il Liceo Ginnasio “Pietro della Vigna” di Capua, nel quale si era fatto onore come studioso con un discorso su Pietro della Vigna, in occasione dello scoprimento di un busto in sua memoria (alla cerimonia partecipò anche Giannina Milli, poetessa teramana, con il marito Regio Provveditore). Il Bindi riscosse molti consensi e il discorso fu pubblicato a cura del Comune di Capua.

Successivamente il Nostro insegnò presso il Liceo “Mazzocchi” di Santa Maria Capua Vetere. Ma la storia di Bindi insegnante è legata alla Scuola Normale Femminile di Capua di cui fu professore e di cui sostenne presso il Ministero della P.I. il “pareggiamento” (oggi diremmo statalizzazione). La scuola era stata fondata da Salvatore Pizzi, prodittatore con Garibaldi e Governatore della Provincia di Terra di Lavoro. Al Pizzi successero nella direzione Alberto Bellentani, Bernardo Rinaldi e, il 2 aprile 1900, dopo una lunga reggenza interinale, fu eletto a quella carica Vincenzo Bindi. Quando con la riforma Gentile l’istituto fu soppresso – facendo del Bindi l’ultimo direttore -, il Nostro elevò la sua protesta dalle colonne de L ‘Unione: «A quella scuola ho consacrato mezzo secolo della mia vita, gli anni migliori della mia giovinezza, le mie energie, il modesto ingegno, gli ardui studi, sostenendo, con piena dedizione mia, lotte e sacrifici senza fine [ … ] Scuola abbandonata ora al suo destino, e forse destinata a scomparire e miseramente finire».

Il 21 maggio 1911 il corpo insegnante e gli alunni della Scuola Normale Femminile di Capua vollero tributare al Bindi Solenni Onoranze per i suoi trentacinque anni di presenza in quell’Istituto. Alle cerimonie parteciparono molte personalità politiche e culturali tra cui il Sottosegretario alla Pubblica Istruzione on. Vicini. Al festeggiato furono inviati decine e decine di telegrammi e biglietti d’auguri, tra cui quello del Sindaco di Giulianova Giuseppe de’ Bartolomei e del presidente della Società Operaia Alfonso Nespeca.

Nella piccola pubblicazione che avrebbe dovuto conservare la memoria di quell’evento appare anche un articolo di Sabatina Laureti, già pubblicato in Vita Italiana (15 marzo 1890) diretta da Angelo De Gubernatis, e ne L’Unione (23-34 settembre 1911) firmato erroneamente De Gubernatis. Nel breve saggio il Bindi e il De Nino, vengono considerati i dioscuri della cultura abruzzese: «Quello che Antonio De Nino per gli usi e i costumi, le tradizioni e le leggende, per tutte insomma le manifestazioni delle popolazioni d’Abruzzo, Vincenzo Bindi fece per i monumenti storici ed artistici»

Ancora l’autore ci racconta di alcuni aspetti, per così dire picareschi delle ricerche del Nostro: «Si possono immaginare le spese e le fatiche che dovette costare quella lunga serie di gite in ferrovia, in diligenza, a cavallo, e a piedi, per strade spesso disastrose, in luoghi spesso inaccessibili, chi sa fra quante difficoltà. A mo’ d’esempio, cito un caso fra mille, il Bindi vuole vedere una chiesa e giunge in paese puntualmente, il giorno e l’ora fissata dal proprio itinerario, non dimenticando che l’indomani lo aspettano altrove. Ma il curato, che ha la chiave del monumento, è andato in un paese vicino, ove si fa festa, ed è giuocoforza aspettare il suo ritorno». Mentre il De Nino raccoglie dalla viva voce delle persone i documenti necessari per i suoi studi, «il Bindi invece dovè ricorrere a interrogar le pietre e i muri per la ricostruzione della storia dell’arte e della religione; e le pietre e i muri gli parlano svelandogli tutta la loro storia, come ad un vecchio amico, il quale intese perfettamente il loro muto linguaggio». La stessa immagine profetica fu usata dal filosofo Gaetano Capone Braga nel discorso pronunziato per il 1° anniversario della morte dello scrittore, paragonando il Bindi all’Omero de I Sepolcri di Ugo Foscolo: «Il nostro Bindi, vecchio e bianco, e quasi cieco, mi ricorda il sacro vate antico che penetrava nei monumenti e negli avelli ad interrogarvi le ombre dei trapassati; ed anche egli ci dice: Proteggete i miei padri».

Prima di poter tornare definitivamente nella sua Giulianova, il Nostro fu chiamato a dare un ultimo contributo alla società capuana: il riordino della biblioteca e del gabinetto di scienze delle scuole. Con la deliberazione del 18 agosto 1918, il Comune di Capua assegnava al Bindi quel compito in quanto «questi ha gratuitamente accettato l’incarico tanto più agevolmente in quanto e per dichiarazione rispondeva al suo progetto». Il 14 settembre 1923 l’anziano professore e direttore della Scuola Normale Femminile, che tanto lustro aveva dato a Capua e all’istruzione pubblica, chiese di essere collocato a riposo. Dalla prima nomina ottenuta il 1 ° gennaio 1878 erano passati ben 46 anni e 10 mesi. Nella seduta del 27 febbraio 1924 il Consiglio Provinciale di Terra di Lavoro prese atto di quei dati e deliberò in merito al pensionamento.

Il Bindi intellettuale e ricercatore non può essere confuso – come si vedrà più avanti – con l’insegnante, cosi come senz’altro avviene per il Bindi politico. Ne è riprova il fatto che nelle sue ricerche volle dare una funzione di primo piano all’arte meridionale. Cosa che porterebbe ad azzardare l’ipotesi di un suo vago «meridionalismo»; tendenza che d’altra parte, nel caso specifico dell’indagine storico-artistica, risulta fuori luogo.

Capone Braga, nello scritto commemorativo già citato, nota che il Bindi sostenne – sulle tracce del Salazaro – una tesi che confermerà in tutte le sue opere, cioè «che la tradizione dell’arte classica si conservò durante il Medioevo nell’Italia Meridionale assai più che altrove; che le città dell’ex Regno delle Due Sicilie sono più ricche di opere d’arte che tutte le altre della penisola; e che il Rinascimento si deve specialmente agli artisti dell’Italia Meridionale».

«Bisogna dire sinceramente che gli studi moderni non hanno confermato tale opinione del Salazaro e del Bindi. Il quale per dimostrare il suo asserto, deve da una parte svalutare alquanto artisti assai famosi, come Giotto, il Ghirlandaio, il Pinturicchio, e dall’altra esagerare il valore di artisti meridionali assai mediocri». Un giudizio analogo era già stato espresso da Guido Carocci, direttore della rivista fiorentina Arte e Storia, a cui il Nostro collaborava. Il Carocci affermava nel suo scritto di non voler seguire Bindi in certe sue posizioni, «quelle nelle quali asserisce che il primato dell’arte fino al XIV sec. non alla Toscana, ma alle nostre provincie va aggiudicato». E continua: «II Bindi, severo censore del Vasari, è persino di una severità sprezzante per Giotto che chiama tanto decantato [ … ] ma cosa che non ci riesce di giustificare è quel voler scemare il merito di Giotto. Ma … parliamoci francamente, Bindi carissimo, questo nostro Giotto lo avete mai veduto?». Giovanni Casertano, invece, in una recensione apparsa su Ateneo Italiano, nota che nell’opera del Bindi «la preoccupazione che vi appare più manifesta è quella di non tradire giammai la verità, e di non slanciarsi mai nel mare magnum delle ipotesi e di affermare soltanto quello che si possa provare, tutto al contrario del Salazaro che nella sua opera Studii sui monumenti dell’Italia Meridionale dal IV al XII sec., si fè troppo sedurre, come ben nota il Gregorovius, dall’entusiasmo patrio tanto da chiamare l’Italia Meridionale per vera sorgente delle Arti belle ed i campani per i veri artisti di Bisanzio».

Vincenzo Bindi fu uno scrittore molto prolifico e soprattutto rigoroso nel verificare ogni affermazione alla luce dei documenti originali. L’esigenza della verifica comportò un onere finanziario notevole, soprattutto per un privato che non godeva di nessun patrocinio. L’opera più importante del Nostro e per la quale è divenuto famoso, Monumenti storici ed Artistici degli Abruzzi, pubblicata nel 1889, costò ben quarantamila lire. L’imponente studio fu pubblicato in due parti: un volume in quarto con oltre mille pagine di testo, ed un volume con le tavole, che erano 225. Un’opera del genere sarebbe costata al pubblico 200 lire, 250 con le tavole. Per la pubblicazione dell’opera il Bindi ebbe un “incoraggiamento” di 1.500 lire dal Ministero della Pubblica Istruzione.

Uno dei meriti e dei pregi più significativi del Nostro, fu sicuramente quell’infaticabile volontà di rendere giustizia al meridione; nel contempo, però, e forse contraddittoriamente, non riuscì a liberarsi da quel senso di sudditanza che lo spingeva a chiedere permessi per dedicare le sue opere al Sovrano o ai Ministri di turno.

Michele Coppino, Ministro della P .I., così gli scriveva il 30 novembre 1889: «La S. V. ha voluto abbondare in cortesia dedicandomi la dotta illustrazione del codice miniato di S. Clemente a Casauria esistente nella Biblioteca Nazionale di Parigi. Se io avessi conosciuto prima questo pensiero, l’avrei pregata di rinunciarvi essendomi imposta una legge di non accettare dediche. Ma ora la cosa è fatta non mi resta che ringraziarla della sua squisita benevolenza ed a congratularmi per la sua pubblicazione. In pari tempo la ringrazio degli altri due volumi di soggetto artistico e storico che Ella si è compiaciuta inviarmi».

In verità, la storia dello studio bindiano sul famoso documento casauriense, era già iniziata nel 1884, quando il Bindi chiese al Ministro della P. I. – sempre Coppino – un sussidio per potersi recare a Parigi. Nel dicembre dello stesso anno il Nostro ebbe un finanziamento di 700 lire. Il Ministro accompagnò l’ “incoraggiamento” con una lettera di presentazione al Ministero della P .I. francese e all’Ambasciatore italiano a Parigi. Il 28 febbraio 1885 fu recapitata al Bindi, presso il suo domicilio parigino, all’Hotel de Londres et Milan, una lettera del Ministero francese, da presentare ai funzionari della Biblioteca Nazionale di quella città. Sulla base di questa vicenda ci sembra si debbano ridimensionare le notizie date dai periodici dell’epoca secondo cui sarebbe stato il Ministro stesso, di sua iniziativa, ad inviare Bindi a Parigi, mentre dai documenti risulta che lo scrittore si sia proposto egli stesso per quella “missione culturale”. Anzi, è probabile che sulla scia di quegli studi si sia autocandidato, nel 1887, presso l’Istituto Storico Italiano, come il probabile curatore di un’ipotetica ristampa del Chronicon casauriense; ma quell’Istituto non prevedeva per il momento la ristampa di quell’opera ed il Bindi perse l’occasione di acquisire questo primato.

In occasione della pubblicazione di Monumenti Storici ed Artistici, avvenuta durante i primi mesi del 1889, lo Scrittore intrattenne un fitto rapporto epistolare con il Ministro della Real Casa in merito alla dedica al Re Umberto I. Vincenzo Bindi aveva in animo di rafforzare la sua devozione al Re, dedicandogli la sua monumentale opera. Già una prima lettera probabilmente fu inviata dal Nostro al Ministro addetto nel luglio 1888 e poi di nuovo nel novembre o dicembre dello stesso anno. Prima di accordare la dedica il Re volle essere sicuro dell’importanza dell’opera su cui sarebbe apparso il suo nome, e volle sottoporla all’Istituto Storico Italiano. Il 14 dicembre 1888 Bindi ricevette dal Ministro Visone la seguente lettera: «Sua Maestà il Re in seguito a giudizio espresso da autorevole Istituto, ha accordato alla S.V. la chiesta facoltà di dedicare all’Augusto suo Nome l’opera da lei testè compiuta intorno ai monumenti storici ed artistici degli Abruzzi». Ma non basta. II Bindi si mise in lista per essere ricevuto dal Re in udienza privata. Fu ricevuto il mercoledì 7 maggio 1889, alle ore 9 pomeridiane. Ma al di là degli onori ricevuti il Bindi si trovò ad affrontare seri problemi di diffusione di quella sua ponderosa opera. Il Ministero della P. I. il 13 novembre 1891 gli mandava una lettera in cui si diceva: «La sua proposta di acquistare un certo numero di copie per distribuirle alle biblioteche, non può avere effetto, mancando assolutamente nel bilancio il fondo all’uopo disponibile». Purtroppo l’opera, per gli alti costi, non ebbe successo nemmeno in patria. Il Comune di Castelli il 29 dicembre 1888 rispondeva di non potersi «associare» all’opera «per il prezzo troppo arduo»: il Comune di Atri acquistò una copia, probabilmente per interessamento di Gabriello Cherubini che faceva parte di quel Consiglio Comunale, mentre il Comune di Sulmona si rammaricava non poter acquistare l’opera, così pure Città S. Angelo. L’Amministrazione Provinciale di Secondo Abruzzo Ultra de l’Aquila ed il Municipio di Cittaducale acquistarono una copia, mentre il Sindaco di Notaresco proponeva un acquisto rateale li f 28 all’anno. Il Sindaco di Giulianova, Ciafardoni, gli scriveva il 5 maggio 1889 di «essere dolente di non poter per le condizioni finanziarie impegnarsi per numero sei copie della sua opera illustrata, e di avvisare però di restituire quelle inviate non essendo tollerabile, che il paese, il quale ne ha dato i natali all’autore non debba possederne almeno una copia illustrata».

L’attività del Bindi presenta negli ultimi anni un’appendice che impropriamente possiamo definire “politica”, in quanto non assume il senso che noi oggi attribuiamo alla parola.

L’avventura politica del Nostro iniziò nel 1911 quando, scomparso Francesco Ciafardoni, si rese vacante il posto occupato in Consiglio Provinciale dal rappresentante del Mandamento di Giulianova, di cui facevano parte anche Mosciano e Tortoreto. Il sindaco De’ Bartolomei a capo dei maggiorenti della città offrì la candidatura all’illustre Professore che in quel periodo si trovava a Capua, in quella Scuola Normale Femminile che si preparava alle solenni onoranze del 21 maggio dello stesso anno. Il Nostro fino all’ultimo momento fu riluttante nell’accettare la candidatura, forse anche a causa di alcune manovre che si stavano perpetrando ai danni della sua persona. Le fazioni avverse lo accusavano di clericalismo e d’essere troppo anziano come candidato mentre si preparava la opposta candidatura di Ernesto

Migliori, proposta e sostenuta all’insaputa dell’interessato dal Sindaco di Mosciano. Ma il Migliori, amico leale del Bindi, rifiutò energicamente la proposta, riconfermando il suo appoggio per la candidatura dell’illustre concittadino. Il famoso e stimato professore e scrittore di cose pregevoli sull’arte abruzzese rappresentava un punto di convergenza per tutte le forze politiche, anche per i socialisti che appoggiarono totalmente la sua candidatura.

Il 18 febbraio 1911 apparve un manifesto della Società Operaia di Giulianova di cui Bindi era socio fin dal 1900. Eccone il testo integrale: «Socii Operai! Domani voi siete chiamati ad eleggere il vostro rappresentante al Consiglio Provinciale. È candidato un uomo che da quarant’anni lavora in silenzio ad illustrare, fuori dalla sua patria, il nome abruzzese.

Giulianova che si onora di avergli dato i natali e che ha seguito sempre con cuore materno lo sforzo operoso del suo figlio diletto, saprà in questa lieta ora dimostrargli la riconoscenza che egli, educatore di popolo e cittadino egregio, può dire serenamente di avere meritato. Ma noi più di altri, abbiamo il dovere di votare compatti per VINCENZO BINDI, cioè per uno dei soci più illustri e più antichi del nostro Sodalizio e questo dovere compiremo come un atto di giustizia verso chi, nella scuola e nella vita, ha combattuto fino ad oggi la buona battaglia per la elevazione dei costumi e delle intelligenze.

Se non avesse fatto che questo, tutti i sinceri democratici del Mandamento dovrebbero domani schierarsi dalla sua parte poiché è nel programma democratico, anzi nello spirito della democrazia, la lotta contro l’analfabetismo, che cerca di sbarrare il passo alla civiltà facendo schiava della superstizione e della ignoranza la coscienza popolare.

Ma il prof. VINCENZO BINDI ha altri titoli di merito di fronte alla regione abruzzese che studiò con affetto devoto e fece conoscere ai profani nei suoi uomini migliori, nelle sue glorie d’arte, nelle pagine magnifiche della sua storia; ed i libri di lui disseminati per tutta Italia, ricercati dagli studiosi, lodati dai sapienti, ne fanno onorevole testimonianza.

Socii operai! Quando uno di questi benemeriti della scienza ci offre la rara occasione di poter esprimere dal nostro seno una forza viva presidiatrice dei diritti e degli interessi del Mandamento di Giulianova, noi non possiamo, non dobbiamo esitare.

La candidatura di Bindi fu riproposta negli anni successivi per altre due volte. Nel 1914 fu rieletto con 2535 voti e nel 1920 con 1902.

Con la morte di Ernesto Romani, Presidente del Consiglio Provinciale, Bindi divenne Vice Presidente, e lo fu dal 9 agosto al 26 novembre 1920, fino a quando al suo posto venne eletto il nuovo rappresentante di Loreto Aprutino, Giacomo Acerbo.

Forse per l’offesa ricevuta con la non rielezione a Vice Presidente, forse per la malattia che cominciava a pesare sul fisico di una persona che per ogni seduta del Consiglio doveva affrontare un lungo viaggio da Napoli a Teramo, nei primi mesi del 1922 il Bindi inviò una lettera di dimissioni al Presidente dell’assemblea provinciale. Ma le dimissioni, sia per l’insistenza del Sindaco De’ Bartolomei, sia per la rinnovata stima espressa dal Consiglio Provinciale «verso uno dei più autorevoli Decani del Consiglio», furono rifiutate per ben due volte. D’altro lato la stessa interpretazione delle sue dimissioni lo spinsero a scrivere una lettera di chiarimento ai dirigenti del P.N.F. teramano. La lettera fu pubblicata integralmente da Il Solco di Teramo sul numero del 10 agosto 1923: «Mi permetto dirle che trovo molto arbitraria, per non dire strana, che Ella e la Federazione Provinciale Teramana del P .N .F. danno dei sentimenti miei e il voler credere che sol perché io non sia ancora materialmente iscritto al P .N .F. non ne divida le idee e non approvi ed apprezzi quanto fuori ha fatto per la redenzione d’Italia, avendo, e non da oggi e senza bisogno di imposizioni e di minacce, chiaramente e ripetutamente espresso queste mie idee e questi miei sentimenti.

Del resto per mie personali ragioni ed a causa delle non buone condizioni della mia salute (Sono stato gravemente ammalato tutto l’inverno) per ben due volte io ho inviate le mie dimissioni da Consigliere al Presidente del Consiglio, e dall’ultima elezione, io non ho preso più parte alcuna alle sue tornate. Sono ora ben contento, lo creda pure, di rinnovarle, per la terza volta, cosa che fo con lettera odierna raccomandata allo stesso Presidente.

A dir vero, non mi aspettavo la sua lettera, che certo non compensa una lunga vita di onestissimo e improbo lavoro, consacrata tutta intera fino agli anni più tardi, ad illustrare, come ho potuto, ma con intenso amore ed una lunga serie di non ignorate pubblicazioni, la storia civile ed artistica della Regione Abruzzese e principalmente quelle della mia dilettissima provincia».

Infatti le dimissioni furono rinnovate per la terza volta il 16 luglio 1923; il 18 dello stesso mese ed anno, Luigi Paris, nuovo Presidente del Consiglio, accusava ricevuta della lettera (1) e prendeva atto della nuova situazione che si sarebbe creata con le dimissioni di un consigliere.

Come si è già detto in altro luogo, il Bindi politico – se di impegno politico si può parlare – è inseparabile dall’intellettuale e studioso. L’attività dello scrittore in seno al Consiglio Provinciale fu vasta e nello stesso tempo limitata. Consultando gli Atti del Consiglio Provinciale di Teramo (2) ci si rende conto del numero dei discorsi tenuti dal Bindi e nel contempo del tipo di intervento che egli usasse fare in quell’assemblea. Scorrendo i volumi degli Atti ci accorgiamo che Bindi s’era specializzato in commemorazioni e discorsi edificanti: ora per Francesco Ciafardoni, ora per Gennaro della Monica, ora per Giuseppe Cerulli-Irelli, o Antonio Casamarte; per i figli dei contadini morti in guerra o per l’attentato al Re e via dicendo. I contributi più interessanti furono dati dal Nostro, quando affrontò problemi di cui egli rappresentava l’unico vero specialista: l’arte e la storia abruzzese. Si deve al suo amore per le cose d’arte se il Consiglio nella seduta del 13 novembre 1912 approvava l’interrogazione su S. Clemente a Casauria, in cui si chiedeva l’istituzione di un museo regionale proprio in quella Abbazia. Egualmente importanti furono i suoi discorsi in favore della Biblioteca «M. Delfico» di Teramo; per la conservazione delle antiche ceramiche di Castelli che il Barone Aliprandi era in procinto di vendere all’estero; per la costruzione della scuola industriale a Giulianova.

Il limite dell’illustre Scrittore nella sua attività di rappresentante del mandamento di Giulianova è da individuare, a nostro avviso, nel fatto d’aver conservato fino all’ultimo la sua qualifica di professore e uomo di studi, digiuno di problemi economici e sociali (si registra solo un breve intervento a favore dei pescatori di Giulianova nella seduta del 14 agosto 1916). C’è da chiedersi, tuttavia, se questo atteggiamento non sia da elogiare e da interpretare come l’atto di rigore di una persona che, pur investita di responsabilità pubbliche non può rinunciare, per onestà scientifica e professionale, anche in quella nuova veste, alle sue conoscenze specifiche che solo possono dare e produrre esiti altamente positivi. Per questo, in definitiva, non riteniamo che il comportamento «politico» del Bindi sia da biasimare. I giuliesi avevano voluto mandare a rappresentarli un uomo di cultura, al di sopra delle parti, con particolare requisiti di onestà e moralità per cui altro il prof. Bindi non poteva dare.

Gli ultimi anni dello scrittore (ci riferiamo al periodo 1925-1928) furono ancora densi di lavoro, ma ancora di più di sofferenze fisiche. Sono di questo periodo le monografie su Giulianova, presso la Sonzogno, e su Gaetano Braga. In quel momento Bindi scriveva dal palazzo Arlotta di Napoli. La maggior parte delle lettere erano indirizzate ad Alfonso Migliori, Podestà di Giulianova. Dalla corrispondenza emerge un Bindi «eminenza grigia» che istruisce sul da farsi. Le sue attenzioni riguardano il Duomo, da restaurarsi secondo le sue indicazioni; un ipotetico teatro comunale da intitolarsi a Gaetano Braga nel centenario della nascita, cioè il 1929; il museo da intitolarsi a Raffaello Pagliaccetti, da costituirsi sulla base della donazione di opere dello scultore fatte da Pasquale Ventilj; il problema dei collegamenti tra la città e la spiaggia e da ultimo la lapide ricordo per la nuova fusione della campana del Duomo.

Ma dietro questa sua continua attività, dietro la facciata si nascondeva un uomo bisognoso di una continua assistenza, che passava le sue giornate a casa, costretto a scrivere stando a letto.

Nel febbraio del 1928 lo Scrittore fu sottoposto ad un difficile intervento chirurgico. L’operazione fu eseguita da Prof. Raffaele Janni, chirurgo nell’Ospedale Incurabili di Napoli.

Anche dopo quell’evento di Bindi non smise l’abito di illustre e venerabile professore. Ne è testimonianza una delle ultime lettere inviate al Migliori in cui si diceva tra l’altro: «Per rendere un piccolo attestato di gratitudine al prof. Janni ti mando alcune parole che ti prego caldamente di pubblicare nella Tribuna, di cui sei corrispondente». Quelle poche parole allegate con foglio a parte alla lettera – sono queste:

«Giulianova 14/3/1928.’

la nostra cittadinanza ha trascorsi giorni di vera trepidazione e di ansia per la grave malattia da cui venne, fin dal passato settembre, colpito l’amatissimo prof. Vincenzo Bindi.

Un male alla vescica, l’ipertrofia della prostata, acuitasi terribilmente, gli procurava sofferenze inaudite fino al punto di minacciarne seriamente l’esistenza, tanto da preoccuparne seriamente i numerosi suoi amici ed estimatori, i quali avevano deciso di condurlo a Milano e sottoporlo ad una grave operazione. Ma egli volle nel dicembre tornare a Napoli dove, dopo avere consultato i principali specialisti e medici della capitale ed affidandosi ai consigli di amici devoti ed autorevoli, scelse per suo chirurgo ed operatore uno dei più illustri medici della Scuola Napoletana, il chiarissimo prof. Raffalele Janni docente di medicina operatoria nella R. Università, chirurgo del R. Ospedale degli Incurabili e patologo tra i più noti e stimato. L’operazione venne magistralmente eseguita in due tempi, con sicurezza di mano e perizia tecnica veramente singolare e mirabile, e la prostata completamente estratta. Difficile dolorosa e delicata operazione che ha messo l’amato nostro concit­tadino fuori pericolo e già si avvia a completa guarigione.

Mentre noi ci rallegriamo vivamente con prof. il Bindi, tanto qui amato da ogni ordine di cittadini, del superato gravissimo pericolo e facciamo fervi­di voti perché riacquisti la prima salute e torni tra noi ed ai suoi diletti studi, che tornano a tanto onore de’ nostri Abruzzi, ci rendiamo interpreti della gratitudine cittadina verso l’illustre prof. dott.Raffaele Janni, che ha rag­giunto un nuovo titolo alle più alte benemerenze, traendo a salvamento il no­stro concittadino e ridonando alla famiglia, agli amici ed estimatori la tran­quillità e la pace»(l).

Il 2 maggio 1928 l’avv. Francesco Cerulli scriveva da Napoli: «Purtrop­po le condizioni dell’illustre prof. Bindi sono disperate ed il prof. Janni mi ha dichiarato anche stamane che l’infermo si spegne lentamente e solo un mi­racolo potrebbe salvare dalla morte, la quale non ritiene immediata, ma ine­vitabile». Ancora: «Janni mi ha confessato di aver testato in favore del Co­mune, aggiungendo di avermi nominato suo esecutore testamentario». L’avvocato Cerulli scriveva la sua lettera alle ore 12 del 2 maggio, alle ore 21 dello stesso giorno Vincenzo Bindi si spegneva.

All’una del 3 maggio il Cerulli inviava al Podestà Migliori questo telegramma:

«Illustre prof esso re Bindi spentosi serenamente ore ventuno istituiva le­gatario sua casa et biblioteca et pinacoteca codesto comune con altro minore legato contanti disponeva suoi funerali seguissero modestamente senza fiori e discorsi appena possibile telegraferò giorno arrivo salma venerata atten­dendo sue telegrafiche istruzioni».

 

Il presente contributo è tratto da: Aldo Marroni, “Catalogo dei periodici Abruzzesi posseduti dalla Biblioteca Civica Vincenzo Bindi di Giulianova”, 1984, pp.142

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